Il sistema di etichettatura “Dolphin-Safe” e i processi produttivi non collegati al prodotto davanti all’Organo d’appello OMC
Il caso
Ormai da più di vent’anni, Stati Uniti e Messico si fronteggiano sul piano internazionale a proposito del metodo di cattura del tonno praticato dai pescatori latino-americani nell’Oceano pacifico tropicale orientale (Eastern Tropical Pacific Ocean, ETP). Nel sistema multilaterale degli scambi, la contesa che, da diversi lustri, accompagna i due Paesi ha portato all’emanazione di reports oggetto di ampio dibattito nella comunità internazionale – cfr. i casi Tuna/Dolphin I e Tuna/Dolphin II.
Da ultimo, la simbiosi tra tonni e delfini nell’ETP – con i primi che nuotano costantemente insieme ai mammiferi marini, i quali, individuati dalle imbarcazioni messicane, vengono poi accerchiati per catturare più agevolmente e abbondantemente i tonni sottostanti – è stata considerata dall’Organo d’appello dell’OMC, nel report adottato dal Dispute Settlement Body (DSB) il 13 giugno 2012 (US – Tuna II (Mexico)).
In particolare, l’ente giudicante ginevrino ha dovuto pronunciarsi sul sistema di etichettatura volontaria statunitense noto come “Dolphin-Safe Label”. Tale sistema, creato dal Dolphin Protection Consumer Information Act (DPCIA) del 28 novembre 1990 (United States Code, Title 16, Section 1385) e dai regolamenti attuativi di tale legislazione del Congresso degli Stati Uniti (United States Code of Federal Regulations, Title 50, Section 216.91 and Section 216.92), è considerato ingiustificato e discriminatorio dal Messico poiché, per il tonno pescato nell’Oceano pacifico tropicale orientale, l’etichetta Dolphin-Safe è utilizzabile solo a condizione che la cattura avvenga senza ricorrere intenzionalmente alle reti a circuizione.
Tale disciplina, infatti, impedisce agli operatori messicani di commercializzare il loro tonno come pescato salvaguardando i delfini anche laddove si attengano allo standard sviluppato nell’ambito dell’Accordo sul programma internazionale per la preservazione dei delfini (Agreement on the International Dolphin Conservation Program, AIDCP), il trattato concluso nel 1998, al termine di lunghi anni di negoziati, e del quale fanno parte anche gli Stati Uniti ed il Messico. Lo standard AIDCP, a differenza della normativa statunitense contestata, stabilisce delle linee guida per considerare tutelati i mammiferi marini essenzialmente orientate su dati statistici sulla mortalità e il ferimento dei delfini, dunque non condizionate al rispetto di alcun metodo di pesca. L’etichetta basata sullo standard AIDCP, pertanto, ammette la qualifica del tonno come Dolphin-Safe anche laddove siano state usate le reti a circuizione nell’Oceano pacifico tropicale orientale, purché gli osservatori indipendenti che abbiano monitorato l’attività di pesca condotta dalle imbarcazioni messicane possano certificare che non vi sia stato un “significant adverse impact” sulla preservazione dei popolari cetacei durante il loro accerchiamento per catturare il tonno sottostante.
I profili problematici
Il report dell’Organo d’appello nel caso US-Tuna II (Mexico) è di grande interesse in quanto interviene su una nutrita serie di questioni centrali per il commercio internazionale, anche nella prospettiva del rapporto tra liberalizzazione degli scambi, tutela del diritto all’informazione dei consumatori, e protezione della salute e del benessere degli animali, per di più interpretando un Accordo multilaterale, l’Accordo sugli ostacoli agli scambi dell’OMC (Agreement on Technical Barriers to Trade, Accordo TBT), che, dall’entrata in vigore del sistema multilaterale nel 1995, è stato oggetto di soli altri 4 casi risolti interamente applicando le sue regole e nell’ambito di entrambi i gradi di giudizio consentiti dal contenzioso ginevrino (accanto alla disputa qui illustrata, i reports dell’Organo d’appello imperniati sull’Accordo TBT sono EC-Sardines, US – Clove Cigarettes, US – Cool).
Inoltre, essendo l’oggetto della controversia qui considerata un sistema di etichettatura dedicato alla sostenibilità del processo produttivo del bene commercializzato, non può stupire l’importante partecipazione della società civile e dei portatori di interesse che contraddistingue il caso Dolphin-Safe. Istituzioni e docenti universitari, organizzazioni non governative dedite alla tutela degli animali, enti privati che promuovono lo sviluppo di standard internazionali, hanno, così, presentato il loro rilevante contributo agli enti giudicanti dell’OMC nella disputa US-Tuna II (Mexico) avvalendosi dell’istituto dell’amicus curiae, una prassi ormai consolidata grazie alla giurisprudenza sviluppata dall’istanza d’appello sin dal noto caso US – Shrimp (parr. 79-91)
In questa sede si intendono sottolineare le conclusioni raggiunte dall’Organo d’appello a proposito dell’individuazione delle legittime finalità per il cui perseguimento i Membri OMC possono adottare e/o mantenere misure tecniche, finalità che il Tribunale permanente mostra di considerare legittime anche laddove contemplino non-trade values sui processi produttivi non collegati al prodotto (non-product related process and production methods, NPR-PPMs), un tema che, dal primo report del GATT 1947 sul caso Tonno/Delfini, ha catalizzato accese ed articolate discussioni, intensificatesi a proposito della possibilità di includere i NPR-PPMs nell’Accordo TBT.
Il Tribunale permanente dell’OMC, dopo aver stabilito la natura di “regolamento tecnico” della disciplina sull’etichetta Dolphin-Safe (parr. 178 – 199), ha operato una preziosa ricostruzione del metodo cui attenersi per effettuare la ricognizione degli “obiettivi legittimi” di cui al par. 2 della disposizione richiamata – vale a dire delle finalità per realizzare le quali un Membro OMC può adottare misure suscettibili di arrecare pregiudizio al commercio internazionale.
Ai sensi dell’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT, infatti, i regolamenti tecnici non possono essere “more trade-restrictive than necessary to fulfil a legitimate objective”; e, prosegue la disciplina in oggetto, sono da considerarsi obiettivi legittimi “inter alia: national security requirements; the prevention of deceptive practices; protection of human health or safety, animal or plant life or health, or the environment.”
Già nel caso EC – Sardines si era rilevato che, proprio in virtù dell’espressione inter alia, l’elenco degli obiettivi che la seguono risulta meramente esemplificativo, ben potendo detta lista essere estesa ad altre finalità definibili come legittime pur non risultando espressamente previste dal testo dell’Accordo TBT (par. 286).
Nella disputa US – Tuna II l’Organo d’appello accoglie l’impostazione del Panel, in base alla quale i due obbiettivi dichiarati dalla misura statunitense attaccata:
a) la finalità di assicurare che i consumatori non siano ingannati o indotti in errore in merito alla presenza, nei prodotti acquistati, di tonno catturato con metodi di pesca pregiudizievoli per i delfini (“consumer information objective”), e
b) quella di contribuire alla protezione dei delfini garantendo che il mercato statunitense non venga usato per incoraggiare le flotte ad impiegare tecniche di cattura pericolose per quei mammiferi marini (“dolphin protection objective”)
sono stati ricondotti, rispettivamente, ai generici scopi della “prevention of deceptive practices” e della “protection of … animal … life or health, or the environment” codificati dall’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT, e, di conseguenza, qualificati come “legitimate objectives” ai sensi di tale disposizione (parr. 302, 303, 313).
Per l’ipotesi in cui un obiettivo perseguito da una misura tecnica di un Membro non sia suscettibile di ricadere tra le finalità espressamente elencate, il Tribunale permanente ha poi precisato che è compito degli organi giudicanti dell’OMC determinare se l’obiettivo dichiarato possa essere considerato “legittimo” in base all’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT, anche utilizzando come “reference point” gli scopi ivi codificati, il Preambolo dell’Accordo TBT, e “[the] objectives recognized in the provisions of other covered agreements [that] may provide guidance for, or may inform, the analysis of what might be considered to be a legitimate objective under Article 2.2 of the TBT Agreement” (par. 313).
L’Organo d’appello manifesta, così, un atteggiamento deferenziale verso i non-trade values che i Membri OMC intendono promuovere attraverso le loro normative, scegliendo una tecnica interpretativa suscettibile di mantenere in capo alle autorità nazionali un notevole margine di discrezionalità nell’adozione delle misure interne. Al tempo stesso, però, l’istanza di secondo grado, riservando ai panels il compito di stabilire la legittimità, ai sensi dell’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT, degli intenti dichiarati dai Membri, e richiamando gli obiettivi codificati nel testo di detto Accordo come pure nelle disposizioni degli altri Accordi OMC (“covered agreements”) per qualificare come “legittime” in base al sistema multilaterale le finalità espresse dalle misure nazionali, vuole garantire un approccio certo ampio e dinamico, ma anche di unitarietà e coerenza di tutto il sistema multilaterale nella definizione delle eccezioni agli obblighi di eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie agli scambi internazionali.
Ma vi è di più. Considerando come obiettivi legittimi le finalità del sistema di etichettatura Dolphin-Safe, in particolare il “dolphin protection objective,” l’Organo d’appello ha affrontato, risolvendola positivamente anche se implicitamente, la sensibile questione della riconducibilità all’ambito di applicazione dell’Accordo TBT delle misure tecniche sui metodi produttivi non collegati al prodotto. Infatti, le discipline sui NPR-PPMs sono state oggetto di grande dibattito nel sistema multilaterale, e fortemente contestate soprattutto dai Paesi in via di sviluppo (PVS) a causa della loro natura extraterritoriale, che impone discipline dello Stato regolatore al Paese esportatore interferendo significativamente nelle politiche interne di quest’ultimo Paese, una interferenza che, ad avviso dei PVS, sarebbe illegittima e non giustificabile in base agli Accordi OMC.
Il Messico ha sostenuto dinanzi all’istanza d’appello dell’OMC l’impossibilità di considerare come “legitimate objective” ai sensi dell’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT la finalità della normativa statunitense di contribuire alla tutela dei delfini assicurando che il mercato nordamericano non venga usato per incoraggiare le flotte ad impiegare tecniche di cattura del tonno pericolose per quei mammiferi marini, in quanto detta finalità renderebbe il sistema di etichettatura Dolphin-Safe essenzialmente una coercizione unilaterale degli Stati Uniti a conformarsi con i requisiti della loro disciplina nazionale, senza tenere conto delle diverse normative approntate dal Messico per affrontare la medesima questione della preservazione dei delfini.
L’Organo d’appello ha scelto di non pronunciarsi direttamente su tali argomentazioni del ricorrente: analogamente a quanto aveva già osservato nella disputa US – Shrimp a proposito della portata extraterritoriale dell’art. XX GATT (par. 121), il Tribunale permanente dell’OMC si è limitato ad affermare che è insita nella natura di ogni regolamento tecnico la capacità di creare ostacoli agli scambi, che sono comunque tollerati dal sistema multilaterale nei limiti indicati dall’Accordo TBT.
Pertanto, conclude l’Organo d’appello, “the mere fact that a WTO Member adopts a measure that entails a burden on trade in order to pursue a particular objective cannot per se provide a sufficient basis to conclude that the objective that is being pursued is not a ‘legitimate objective’ within the meaning of Article 2.2” (par. 338). Dunque, anche le misure tecniche aventi ad oggetto processi produttivi non collegati alla composizione fisica finale di un prodotto sono suscettibili di ricadere nell’ambito di applicazione dell’Accordo TBT, in particolare laddove dette misure siano schemi di etichettatura volti a certificare la sostenibilità del metodo manifatturiero o di fabbricazione.
Considerazioni finali
L’approccio interpretativo scelto dell’Organo d’appello dell’OMC a proposito dell’Accordo TBT, quindi, valorizza significativamente i sistemi di etichettatura quale strumento di mercato meno invasivo e più idoneo a contemperare la liberalizzazione degli scambi con la tutela dell’ambiente come pure di altri obiettivi di public policy.
Naturalmente, la riconduzione delle misure sui NPR-PPMs all’ambito di applicazione dell’Accordo TBT implica che i sistemi di certificazione e di etichettatura sulla sostenibilità ambientale – ed anche sociale dei prodotti debbano essere sviluppati e modellati dai Membri OMC prestando particolare attenzione a detto Accordo multilaterale e al modo in cui viene applicato ed interpretato nel sistema di risoluzione delle controversie di Marrakech.
La recente, complessa, giurisprudenza sull’Accordo TBT già sopra richiamata – così attenta a disincentivare una deriva protezionistica delle normative regolamentari parimenti esaltando la capacità delle regole OMC sugli ostacoli tecnici di considerare perfettamente compatibili con il sistema di Marrakech le discipline nazionali autenticamente ed efficacemente dedicate anche alla realizzazione di politiche di sostenibilità – deve, pertanto, essere oggetto di approfondita analisi, al fine di adottare strumenti di mercato idonei a perseguire i loro non-trade values senza discriminare o intralciare gli scambi al di là di quanto effettivamente necessario.
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