diritto dell'Unione europea

Rimettere in discussione la cooperazione rafforzata? Spunti dalla sentenza della Corte di giustizia contro Spagna e Italia

La cooperazione rafforzata, strumento dell’Europa a geometria variabile disciplinato nei Trattati istitutivi, si impone in questo periodo all’attenzione di politici, operatori economici e giuristi con la sentenza della Corte di giustizia del 16 aprile scorso, avente ad oggetto l’autorizzazione del Consiglio a utilizzare tale meccanismo riguardo all’istituzione di un brevetto unitario.

Introdotta con il Trattato di Amsterdam dopo non poche esperienze di integrazione differenziata ideate e condotte in modo estemporaneo, la cooperazione rafforzata ha subito modifiche con tutti i trattati successivi ma è rimasta quiescente per molti anni. La prima esperienza, finora senza imprevisti, si è avuta nel settore della cooperazione giudiziaria civile, in tema di diritto applicabile in materia di divorzio e di separazione legale.
Alla relativa autorizzazione del Consiglio, del 12 luglio 2010 (decisione 2010/405/UE), è stato dato seguito con l’adozione del regolamento n. 1259/2010 (cosiddetto “Roma III”), il quale si applica ai 14 Stati membri originariamente aderenti e, a partire dal 22 maggio 2014, alla Lituania, la cui partecipazione è stata confermata dalla Commissione il 21 novembre 2012. L‘esperienza successiva, per l’appunto quella relativa all’istituzione del brevetto unitario, è invece finita al vaglio della Corte di giustizia per iniziativa dei due Stati, Spagna e Italia, che non hanno aderito alla cooperazione rafforzata de quo. È interessante sottolineare che la terza vicenda in cui il meccanismo ha trovato applicazione, relativa all’istituzione della c.d. Tobin Tax, sta imboccando un iter analogo. Lo scorso 18 aprile è infatti stato depositato il ricorso contro l’autorizzazione del Consiglio ad opera del più importante Stato non aderente alla relativa cooperazione rafforzata, il Regno Unito, al quale propone di aggiungersi un altro con notevoli interessi economici in gioco, il Lussemburgo. Queste reazioni, maturate per contrastare l’adozione di misure molto delicate sotto il profilo economico e politico, sembrano segni di disagio verso un meccanismo naturalmente ambivalente per il processo di integrazione che travalica le vicende specifiche. Ci si vuole dunque soffermare sugli aspetti della sentenza del 16 aprile che, (ri)mettendo in fin dei conti in discussione la cooperazione rafforzata in termini generali, denotano il disagio evocato.

La pronuncia ha segnato l’epilogo di una battaglia lunga e aspra in cui Italia e Spagna – rispettivamente la quarta e la quinta tra le economie europee – si sono contrapposte a tutti gli altri Stati membri in difesa delle proprie imprese. Il “pomo della discordia” è stato il brevetto unitario, in particolar modo il suo regime trilingue. Secondo la proposta, ormai perfezionata in due regolamenti, cui i due Stati si sono opposti, l’Ufficio competente a rilasciare i brevetti unitari (Ufficio europeo dei brevetti – UEB) ha infatti come lingue ufficiali il francese, l’inglese e il tedesco, mentre le domande di brevetto possono essere presentate anche nelle altre lingue dell’Unione con un sistema di compensazione dei conseguenti costi di traduzione. Secondo Spagna e Italia un siffatto regime penalizzerebbe le loro imprese avvantaggiando invece particolarmente e in modo ingiustificato quelle francesi e tedesche. La proposta alternativa, avanzata dalla Spagna ma sostenuta anche dall’Italia, prevedeva quale unica lingua ufficiale del brevetto unitario l’inglese in considerazione del suo carattere di lingua universale degli scambi e delle comunicazioni internazionali, con una traduzione in un’unica altra lingua a scelta del depositante. Coagulatosi il consenso di tutti gli altri Stati sull’opzione trilinguista e richiedendo la base giuridica in materia – l’art. 118 TFUE – l’unanimità dei voti in Consiglio, quest’ultimo ha autorizzato una cooperazione rafforzata al riguardo con decisione 2011/167/UE del 10 marzo 2011, la quale ha condotto, successivamente all’instaurazione dei ricorsi contro di essa dinanzi alla Corte nell’ottobre dello stesso anno, all’adozione dei regolamenti 1257/2012 e 1260/2012, del 17 dicembre 2012 (entrambi in GUUE L361).

I motivi di ricorso che hanno messo in discussione la ragion d’essere dell’istituto sono il secondo e il quarto, a mezzo dei quali Spagna e Italia hanno contestato rispettivamente l’obiettivo perseguito con la cooperazione rafforzata in tema di brevetto unitario e il fatto che la stessa consenta effettivamente di rafforzare il processo di integrazione dell’Unione europea, secondo la previsione dell’art. 20, par. 1, TUE.

Riguardo al primo profilo, i ricorrenti hanno sostenuto che nel caso di specie la cooperazione rafforzata sia stata utilizzata per escludere alcuni Stati “da un negoziato difficile e per eludere il requisito dell’unanimità”, mentre, nel sistema dei Trattati, la stessa sarebbe preordinata a consentire un passo indietro agli Stati membri non “ancora pronti a partecipare ad un’azione legislativa dell’Unione nel suo insieme” (punto 29 della sentenza). La Corte ha reagito evidenziando come l’impossibilità di conseguire gli obiettivi ricercati a mezzo di una cooperazione rafforzata entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme, la quale costituisce il presupposto del ricorso al meccanismo in questione ex art. 20, par. 2 TUE, può essere dovuta a diverse cause, e che non solo nulla vieta agli Stati di instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nell’ambito di competenze da esercitarsi all’unanimità, ma al contrario emerge dall’art. 333, par. 1, TFUE, come una tale evenienza sia espressamente contemplata nei Trattati istitutivi. Il caso in esame toglie così ogni dubbio sul fatto che la cooperazione rafforzata può essere il frutto di spinte antagoniste nella base sociale dell’Unione e costituire l’esito di visioni inconciliabili sulla fisionomia di misure comuni che tutti o molti reputino necessarie sebbene per l’appunto con modalità diverse. L’integrazione differenziata attivabile sub specie di cooperazione rafforzata, cioè, può essere instaurata anche qualora gli Stati non partecipanti non siano contrari allo sviluppo dell’integrazione in un certo settore di per sé, ma agli assetti voluti in proposito da una minoranza qualificata (notoriamente almeno nove Stati membri) che abbia saputo aggregarsi. L’esito del dissenso che prende forma in una geometria variabile è che un gruppo prosegue l’integrazione nei modi preferiti, mentre gli altri sono posti nelle condizioni di rinunciare del tutto a sviluppare l’integrazione nel settore de quo. A garanzia di questi ultimi, che è anche garanzia del processo di integrazione europea nel suo complesso, opera la previsione per cui le modalità adottate dagli altri Stati in regime di cooperazione rafforzata non possono costituire acquis comune, oltre al fatto che essi non hanno alcun obbligo di aderire pur conservando la possibilità di farlo “in qualsiasi altro momento” (art. 328, par. 1, TFUE).

Il secondo motivo di ricorso su cui si attira l’attenzione si presenta sul piano tecnico-giuridico con quattro profili distinti ma consiste sostanzialmente nel fatto che la disciplina adottata in regime di cooperazione rafforzata compromette l’uniformità della tutela brevettuale tra gli Stati membri minando, in questa materia, la loro integrazione. Tecnicamente Italia e Spagna hanno lamentato la violazione dell’art. 20, par. 1, TUE, secondo cui le cooperazioni rafforzate sono intese a rafforzare il processo di integrazione dell’Unione, dell’art. 118 TFUE, base giuridica del regolamento sul brevetto unitario, nonché degli artt. 326, 2° comma, e 327 TFUE. La Corte ha respinto queste censure con considerazioni legate alle norme aventi rilievo nel caso di specie. Si segnala anzi come essa abbia accuratamente e correttamente evitato di esprimersi sulla compatibilità della cooperazione rafforzata in re ipsa con il sistema dei Trattati, ché in questo si risolvevano gli argomenti sollevati dai ricorrenti i quali evidenziavano in fin dei conti la contraddizione in termini del meccanismo. In particolare Italia e Spagna, rilevando come “la creazione di una protezione uniforme dell’innovazione in una parte soltanto dell’Unione favorirebbe un assorbimento dell’attività relativa ai prodotti innovativi in tale parte dell’Unione, a scapito degli Stati membri non partecipanti” (punto 71), ravvisavano una violazione dell’art. 326, 2° comma, TFUE, secondo il quale le cooperazioni rafforzate “non possono recare pregiudizio né al mercato interno né alla coesione economica, sociale e territoriale [e n]on possono costituire un ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri, né possono provocare distorsioni di concorrenza tra questi ultimi”. Ebbene, nonostante la cautela introdotta con questa disposizione non c’è dubbio che una cooperazione rafforzata, in qualunque settore sia avviata, per lo stesso fatto di approfondire l’integrazione tra alcuni Stati membri, ingeneri o incrementi un divario con quelli che non vi partecipano. Non c’è parimenti dubbio che nel momento stesso in cui il meccanismo della cooperazione rafforzata opera da lubrificante nei rapporti tra alcuni irruvidisce i rapporti con gli altri. Contestare questo elemento equivale a contestare la ragion d’essere del meccanismo, il suo profilo politico, e infatti l’obiezione in discussione può essere opposta a tutte le forme della geometria variabile finora congegnate nel processo di integrazione europea. Si pensi al sistema Schengen prima della stipulazione del Trattato di Amsterdam come pure alla moneta unica, che a una percezione immediata costituiscono modalità di integrazione straordinarie tra gli Stati aderenti tracciando al contempo distanze notevoli rispetto agli Stati non aderenti.

Nella sentenza in esame la Corte si è tenuta distante dall’affrontare questi nodi, che non le competono poiché la cooperazione rafforzata è prevista nei Trattati la cui coerenza essa non può giudicare, e in particolare ha liquidato la censura sulla pretesa violazione dell’art. 326, 2° comma, logica prima che giuridica, con un breve rilievo del tutto formalista (punti 75 e 68).

La prassi in esame offre però nuovi spunti in risposta alle perplessità sollevate da questo meccanismo di integrazione differenziata in termini generali. Si è detto, al momento della sua introduzione, che l’aspetto positivo e caratterizzante della cooperazione rafforzata rispetto alle altre forme di geometria variabile è che la sua istituzionalizzazione pone dei limiti all’inconveniente intrinseco di tali forme, cioè il frammentarsi del processo di integrazione, per certi versi trasformandolo in una potenzialità per l’Unione. L’istituzionalizzazione del meccanismo comporta infatti la definizione di condizioni e di requisiti sia ai fini del suo avvio che nella sua conduzione nonché di regole procedurali specifiche, le quali tutte operano da garanzia contro strappi inaccettabili a danno dell’integrazione europea in generale e di uno o più Stati in particolare. Soprattutto, il fatto che le cooperazioni rafforzate siano aperte a tutti gli Stati membri (artt. 20, par. 1 TUE e 328. par. 1, TFUE) e che in ogni momento, con alcune ovvie cautele, gli Stati non partecipanti possano modificare le loro decisioni in proposito (artt. 328, par. 1 e 331 TFUE), costituiscono il correttivo più convincente rispetto al “peccato originale” della geometria variabile. La combinazione tra una siffatta “entrata di sicurezza” e il controllo giurisdizionale sul rispetto delle suddette condizioni, requisiti e regole procedurali nella fase dell’avvio, quale emerge dalla decisione consiliare di autorizzazione, può anzi innescare un’alchimia positiva capace di indebolire notevolmente, sul piano politico, l’obiezione in discussione. Uno Stato che non abbia aderito ad una cooperazione rafforzata potrebbe infatti optare per l’adesione in itinere alle misure adottate in sua attuazione proprio all’esito positivo del controllo della Corte. È quanto potrebbe accadere come ulteriore sviluppo della vicenda del brevetto unitario. La Confindustria italiana, commentando “a caldo” la sentenza della Corte di giustizia, ha espresso l’auspicio che l’Italia possa presto aderire alla cooperazione rafforzata avviata nel settore, così da consentire ai propri operatori economici di avvalersi della nuova forma di tutela delle opere dell’ingegno. Una siffatta possibilità è stata ventilata, come possibile esito di una riflessione sulla sentenza, anche dal Ministro italiano degli Affari europei. In tal modo, l’accertamento ad opera del supremo organo giurisdizionale dell’Unione del fatto che una cooperazione rafforzata sia stata avviata nel rispetto delle condizioni e delle garanzie stabilite dai Trattati avrebbe l’effetto di riassorbire il dissenso di uno Stato che altrimenti avrebbe bloccato (rectius, che stava effettivamente bloccando) l’adozione di ogni decisione in materia. Potrà cioè accadere che lo strumento atto a frammentare il processo di integrazione (questa, in fondo, la censura dei ricorrenti sul modus operandi della cooperazione rafforzata nel caso in esame) finisca per stimolare lo stesso.

Va infine rilevato che la Corte ha considerato irricevibile l’argomento relativo al fatto che il regime trilinguista del brevetto unitario europeo arrecherebbe pregiudizio al mercato interno nonché una distorsione della concorrenza e una discriminazione tra le imprese, in pretesa violazione dell’art. 326 TFUE. La motivazione sta nel fatto che, nella decisione di autorizzazione della cooperazione rafforzata in materia, tale regime è previsto solo alla stregua di una proposta (punto 77). Ne deriva, quale lesson learnt per futuri Stati recalcitranti, che la reazione alle misure che si intendano adottare in regime di cooperazione rafforzata va portata avanti con l’impugnazione degli atti effettivamente adottati, e non dell’autorizzazione consiliare. È la via già intrapresa dalla Spagna nelle more del giudizio sfociato nella sentenza commentata, con due ricorsi intentati rispettivamente contro il regolamento 1257/2012 istitutivo del brevetto unitario e contro il regolamento 1260/2012 sul regime di traduzione ad esso applicabile. È da questo ulteriore sviluppo che ci si attende dunque di verificare se gli Stati che si oppongano all’adozione di certe misure con legittime motivazioni giuridiche possano scongiurare la via della cooperazione rafforzata a loro detrimento.

 

 

Previous post

Dopo la pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti in Kiobel, quale foro per le controversie relative alle violazioni dei diritti umani compiute da imprese multinazionali?

Next post

The M/V “Louisa” Case (Saint Vincent and the Grenadines v. Kingdom of Spain)

The Author

Emanuela Pistoia

Emanuela Pistoia

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *